lunedì 21 marzo 2016

Sui sentieri del sacro e del profano

La fascinazione per il mistero e la potenza divina affonda le radici in sentieri intricati, che si smarriscono in selve oscure, dove, sulla scia di un misterioso suono di lontani tamburi, evocanti una religiosità istintiva, sboccia e si attorciglia come un serpente la sfida tra vita e morte, sacro e profano, tempo ed eternità. A rinfocolarla sotto la cenere del tempo i riti sacri sulla scia di cerimoniali avvolti da un alone divino. Da secoli queste pratiche, scaturite da una religiosità atavica, mettono in comunicazione l’uomo con Dio, gettando un ponte tra l’umano e il divino oltre a trasportare in una dimensione mistica. 

Il bisogno di religione, ossia di re-ligare la terra al cielo e l’uomo alla divinità, sin dagli albori dei tempi, è insito nell’uomo alla continua ricerca del senso del soprannaturale e dei luoghi deputati alla guarigione del corpo e al ristoro dello spirito. Il mondo, intriso di forte spiritualità, trabocca di luoghi dell’anima, prepotentemente entrati, a pieno titolo, nel circuito del turismo religioso ormai in crescita esponenziale. 
Le motivazioni, che spingono il popolo dei turisti devoti ad immergersi, in qualsiasi stagione, nelle “oasi dello spirito” sono complesse e variabili: c’è chi cerca rifugio in una “torre d’avorio” nel silenzio della preghiera; c’è chi si rintana nei monasteri di clausura per condividere momenti di vita ascetica; c’è chi si reca in pellegrinaggio in un santuario per acquistare l’indulgenza plenaria; c’è chi partecipa alle processioni a piedi scalzi e con in mano un grosso cero in segno di penitenza; c’è chi implora una grazia temporale e promette un ex voto; c’è chi cerca il contatto con una reliquia dai poteri taumaturgici; c’è chi è spinto soltanto da semplice sete di curiosità. Lo stimolo prioritario è dettato dal desiderio di attraccare ad un porto sicuro per superare una malattia o per sfuggire alle tempeste della vita, ma, non di rado, trae linfa vitale dall’esigenza di ritrovare una fede in crisi, compromessa dal dilagare della crisi dei valori o irrimediabilmente persa. D’altronde, per quanti credono, come ricorda il Vangelo, non di solo pane vive l’uomo, ma anche della parola che esce dalla bocca del Signore.

Nel Medioevo, sotto la spada di Damocle dell’approssimarsi della fine del mondo, esplose il fenomeno del pellegrinaggio corroborato dal messaggio di conversione diretto e drammatico in previsione di uno scenario apocalittico. Un rigoroso sistema di regole, stabilite dalla Chiesa, scandiva il tragitto del penitente disposto a tutto pur di raggiungere le pietre miliari della sacralità, dove avrebbe espiato i propri peccati per riconciliarsi con Dio e affidarsi sotto la sua ala protettiva. Le mete del periglioso cammino, infestato di fuorilegge disposti a tutto pur di racimolare un misero bottino, erano tra le più disparate: luoghi di apparizioni; luoghi consacrati dal sangue e dalle reliquie di martiri, apostoli e santi; luoghi di prodigi miracolosi; luoghi indissolubilmente legati alla vita e alla morte di Gesù in Terra Santa. Per il pellegrino il viaggio assumeva una valenza terapeutica e il luogo sacro, valicando arcani portali, rappresentava simbolicamente una fonte di rigenerazione.


Il culto dei luoghi sacri, dai santuari tradizionali, come San Giacomo di Compostela, alla basiliche romane, in primis San Pietro in Vaticano, avveniva attraverso ciò che Sant’Agostino definiva peregrinatio, ossia un percorso per agros, in grado di far maturare un’esperienza mistica che, passo dopo passo, purificava l’anima, avvicinandola a Dio. Questa consuetudine catartica, associata metaforicamente alla fuga degli Ebrei dall’Egitto per riscattarsi dalla schiavitù del faraone e alla loro lunga permanenza nel deserto, così come riportato nel libro dell’Esodo, acquistava per la religione cristiana il significato del cammino salvifico verso la Terra Promessa, ossia la Gerusalemme celeste, raggiungibile soltanto dopo rinunce e privazioni segnate dal ravvedimento di non vivere più nel peccato. Nel terzo millennio, rispetto ai secoli bui del Medioevo, nonostante siano colmate le distanze geografiche e siano disponibili tutti i tipi di confort, non accenna a cambiare lo spirito del pellegrinaggio, che, sulla scia della tradizione, continua ad essere ispirato da un sentimento di fede e di devozione popolare. Nel caos della modernità, il pellegrino, che aspira alla redenzione, abbandona i mille impegni quotidiani per partecipare in preghiera a liturgie e a processioni in prospettiva di immergersi poi nelle luci, nei suoni e nei colori della festa.


Scortare a piedi i simulacri di Gesù Cristo, della Vergine Maria, dei santi e dei martiri, intronizzati e traslati in processione, non è soltanto un atto di fede ma anche di sottomissione e di espiazione. Quanti si affidano all’azione santificatrice di Dio, come esplicitato dalla catechesi, cercano di essere toccati dalla divinità. Per chi ha fede, d’altronde, Dio è onnipotente. Per la Chiesa in tempo di Giubileo è sufficiente varcare la porta santa e ricevere l’eucarestia, per passare dal buio del peccato alla luce della grazia, conquistando l’indulgenza plenaria.




Nel tentativo di comprendere l’essenza di questo fenomeno universale occorre riflettere sul valore simbolico e devozionale dei rituali che, nella maggior parte dei casi, sono il retaggio ancestrale di una commistione di pratiche religiose trasmesse dagli uomini, così come documentato dalla ricerca archeologica ed antropologica. L’uomo, sin dagli albori, si connota come homo religiosus e contestualmente come homo symbolicus in grado di esprimere con l’intelligenza astrattiva le proprie esperienze interiori attraverso simboli dipinti e figure scolpite nella pietra. Per scongiurare la sua impotenza di fronte alla natura immensamente potente e distruttiva, ma soprattutto per esorcizzare la morte inizia inconsciamente ad archiviare il vissuto di esperienze religiose remote e ad elaborare culti e rituali di iniziazione segreti destinati a divenire nei secoli il fulcro delle cosiddette religioni misteriche. I misteri traggono linfa vitale dal terreno fertile del mito, ossia la narrazione di una rivelazione divina, avvenuta in ere primordiali, quando, tra pochi adepti, venivano celebrati rituali oscuri. Non a caso nel termine mysteria si cela il privilegio di divenire depositari di conoscenze inaccessibili precluse alla massa.

 

Il sogno di prefigurare il divino è sempre stato accarezzato dall’uomo, terrorizzato, in età preistorica, da tuoni, lampi, diluvi, eclissi, tempeste di polvere, scarsità di cibo, cambiamenti climatici, e, per giunta, angosciato dalla morte. Nell’immaginario dei popoli, che si affacciavano all’alba della storia, non si venerava ciò che veniva rappresentato, ma si evocava l’entità divina in attesa della sua teofania.


In balia di eventi ineluttabili esplosero i riti di propiziazione della fertilità volti a caldeggiare l’intervento di una dea della fertilità dal ventre prominente e dai generosi fianchi così come trasmesso da un’ondata d’arte infusa di erotismo e sensualità. La venerazione non era riservata di per sé ad un talismano sacro, ma scaturiva dalla necessità dell’animo umano di trovare rifugio e certezze nel sacro una volta intuita una trascendenza o l’esistenza di un’entità superiore deputata a regolare la vita dell’uomo e il ciclo delle stagioni. Con impeto drammatico si evocava finanche una divinità in grado di governare gli spiriti attraverso la mediazione di un sacerdote-sciamano, a cui veniva concesso il privilegio di comunicare in stato di trance.


Nei secoli bui del Medioevo a svolgere questa funzione di ponte con il divino furono streghe e maghi, specializzati in necromanzia e nell’invocazione dei demoni. Per questi individui, che vivevano relegati ai margini della società, oltre a possedere un alambicco, bastava un banale sospetto o la delazione di qualcuno disposto a testimoniare di averli scovati a esercitare arti magiche, per andare incontro alla scomunica da parte della Chiesa e alla perdizione nelle fiamme dell’inferno. Purtroppo, il più delle volte, si trattava delle fiamme del rogo della Santa Inquisizione Cattolica, che si accanì in modo particolare contro stregoni, intellettuali ed ebrei, bollandoli come eretici. 


L’esuberanza di un senso distorto di religiosità fomentò la superstizione attraverso pratiche magiche, che, oltre a divinazione ed evocazione di forze occulte, contemplavano il ricorso ad amuleti, talismani, filtri e pozioni, che non nascondevano nulla di magico se non la conoscenza dei benefici di erbe officinali, pietre e oggetti sia sacri che profani investiti di poteri taumaturgici e terapeutici e di valenze trascendenti la loro reale identità. Nonostante ciò con spudorata disinvoltura tanta gente venne annegata o bruciata viva dopo terribili torture. Nel buio dell’ignoranza sul fronte profano si impose l’arte di prevedere il futuro attraverso i segni, la cartomanzia e la chiromanzia, mentre sul fronte sacro prese il sopravvento il pio esercizio di mortificazione della carne per mezzo di fruste e cilici, accompagnato dal tormento del digiuno; non di rado come attestazione di fede si era disposti a raggiungere l’altare camminando a carponi e leccando il pavimento. I due volti della medaglia si fondevano e si confondevano, alimentati da un fanatismo fuori controllo.

Nel libro Sacro e Profano lo storico bulgaro Mircea Eliade sottolinea come il sacro sia agli antipodi dell’ordinario, poiché rientra nell’ambito dello straordinario. Non a caso sacro e profano nelle religioni costituiscono le due dimensioni del mondo alla continua ricerca di un equilibrio nel rapporto dialettico tra due elementi antitetici che, incontrandosi e scontrandosi, alimentano l’eterna lotta tra bene e male. Sulla scia del pensiero del grande studioso, promotore di una concezione canonica di un universo in cui agiscono simultaneamente forze positive e negative, si delineano i due volti della stessa medaglia, che, pur essendo distinti e separati, si interfacciano. Il mondo fisico si riconosce per esperienza, il mondo della divinità per rivelazione attraverso simboli (segni sensibili che parlano di soprasensibile), miti (collante tra materia e spirito, tra divinità e uomo) e riti (legami tra divinità e uomini attraverso i miti). 


Il mito non è altro che una narrazione eroica, potenziata dalla valenza simbolica del rito, che veicola la psiche dei partecipanti nella sfera del sacro, rinsaldando e rinfocolando il rapporto ancestrale tra l’uomo, la terra e il cielo attraverso un lungo cammino mistico-esoterico. Questo cammino affonda le radici nel buio del caos, allorquando i titani sfidarono gli dei e gli uomini vivevano in preda al terrore dei fulmini scagliati da Zeus, custode dell’ordine cosmico. 
Con impeto drammatico non fu un dio bensì un titano, intelligente, creativo, sapiente e previdente, a rubare agli dei il seme del fuoco e a donarlo agli uomini, che smisero di vivere in stato di ferinità, raggiungendo il progresso e la gioia della civiltà. 
Con il potere creativo e distruttivo del fuoco, simbolo del potere divino, gli uomini, liberati dalle tenebre dell’ignoranza, seppur ottenebrati dall’arroganza, accarezzarono il pensiero di diventare simili alle divinità, implementando l'uso del cervello. Il fuoco garantiva energia vitale all’umanità che, attraverso un tumulto creativo, acquisì il potere di conoscenza, competizione, successo e consapevolezza del proprio essere, antidoto alla barbarie e alla sofferenza. Di pari passo eruppe la determinazione di andare lungo i binari di un’evoluzione intellettuale accompagnata dalla smania di sperimentazione manuale. Alla luce dei fatti detenere i segreti della techne rappresentava per l’uomo la prospettiva di divenire padrone del mondo e artefice del proprio destino, mentre a livello interiore emergeva prepotentemente il desiderio di sciogliere i lacci dell’ipnosi della paura e della superstizione idolatrica. 


Il titano Prometeo, responsabile del celeste furto e del profondo sconvolgimento che aveva innescato, venne atrocemente punito nel tentativo di scongiurare sedizioni e ribellioni. Dopo essere stato incatenato ad una rupe del Caucaso, il benefattore dell’umanità, venne condannato dal signore dell’Olimpo a subire il quotidiano supplizio dello squartamento del fegato da parte di un’aquila fino a quando non venne liberato da Eracle. E allora tutti compresero che in fondo al dolore si celava l’essenza della liberazione seppur nello spirito di disobbedienza nei confronti dell’autorità o della divinità. In questo mito, narrato nella Teogonia da Esiodo e ripreso in una tragedia perduta di Eschilo, si cela il germe del trionfo sull’oscurantismo e l’affermazione di uno dei modelli intimamente connessi alla storia dell’umanità, che, attraverso un atto ribellione smarrisce l’innocenza primitiva pur di assaporare i frutti dell’albero della conoscenza insieme ad un profondo senso di libertà. In ogni uomo che confida in se stesso e manifesta il coraggio di sfidare l’ignoto, compiendo in nome del progresso scoperte e gesta eroiche, aleggia lo spirito infuocato di Prometeo consegnato all’immortalità per aver saputo addentrarsi nei misteri dell’anima oscura del mondo con la sola luce della ragione.



















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