Dal balcone sulla natura appaiono come scorci di
paradisi perduti, scampati alle magnifiche e progressive sorti della civiltà,
che, seppur seducendoli, non è riuscita, per fortuna, ad alterarne
irrimediabilmente l’equilibrio già di per sé molto precario. Sfruttati su vasta
scala dall’uomo, costretto in passato a conquistare terreni da convertire a
scopi agricoli o alla ricerca di acque salate per l’allevamento ittico o per l’estrazione
del sale, gli ecosistemi acquatici di transizione, rappresentano un’oasi in una bolla tra terra e mare.
Orde di visitatori come barbari invasori,
incendi, spesso dolosi, e colate di cemento, continuano, purtroppo, a
minacciare questi forzieri di gioielli faunistici e floristici, a rischio
d’estinzione, incastonati in parchi naturali, sprofondati nel loro letargo
atavico in attesa del risveglio al soffio del vento. Habitat di specie spontanee in grado di
tollerare elevate concentrazioni di sale nel terreno, come la salicornia, il
giunco nero, la cannuccia, la lisca, l’orchidea e la campanula di palude; valva
di litorali sabbiosi, costellati di dune e cordoni retrodunali; culla di
ambienti palustri e alluvionali; scrigno di depositi marini terrazzati lungo
crinali; appendici di serre solcate da profondi canali; specchi d’acqua carsici
gorgoglianti lontani dai litorali; tappeti di boschi misti a lecceta, acacie e
pino d’Aleppo, deputati ad offrire ombra ad un fitto sottobosco di arbusti di
lentisco e ginestra spinosa dominanti in zone marginali; groviglio di
vegetazione di macchia mediterranea, che di perde sino a sconfinare nelle
praterie di uliveti secolari, confluiscono in questi scenari spettacolari, che ad aprirsi a ventaglio o a chiudersi a riccio a causa
dell’elevata vulnerabilità. Per tutelarli gli Stati membri della Comunità
Europea si sono adoperati per farli rientrare nella rete degli ambienti
naturali della flora e fauna selvatiche denominata Natura 2000, e, in una
logica di sviluppo sostenibile e di protezione della biodiversità nel territorio
europeo, secondo quanto stabilito dalla direttiva Habitat, essi sono stati inseriti nell’elenco dei SIC (Siti
d’interesse Comunitario), rientrando, a pieno titolo, nel novero dei parchi
naturali regionali o tra le zone umide di importanza internazionale ai sensi
della convenzione di Ramsar.
Per la loro posizione strategica sulle rotte
migratorie degli uccelli acquatici tra l’Europa e l’Africa e per l’elevata varietà di ambienti questi ecosistemi detengono lo scettro di riserve
naturali, colonizzate a macchia di leopardo da vegetazione mediterranea,
steppe salate, dune mobili del cordone del litorale, bacini, stagni, risorgive
d’acqua dolce e paludi particolarmente adatti alla sosta, alla nidificazione e
allo svernamento di numerosi uccelli migratori.
Sul limitare delle Murge dell’Alto Salento (a
cavallo tra Ostuni e Fasano) si estende il Parco
Naturale Regionale Dune Costiere da Torre Canne a Torre San Leonardo incastellato,
a ridosso di un tratto di un litorale frastagliato e sabbioso, in un mosaico di
zone umide retrodunali insinuate intorno a piccoli stagni salmastri con
vegetazione allofila.
Al di là della miriade di specie vegetali (tra cui orchidacee spontanee, garighe di euphorbia spinosa, ginepri, macchia mediterranea, asfodelo ramoso, sclerofille sempre verdi) e animali (tra cui cinque specie di rettili di interesse prioritario e ventiquattro specie di uccelli di interesse comunitario) il Parco è intervallato da corridoi di accesso ad un mare trasparente lambito da calette, da lame scaturite da torrenti fossili, e da corsi d’acqua veri e propri come il Fiume Grande, circondato da un folto canneto in cui trova rifugio l’avivauna acquatica migratoria, il Fiume Piccolo e il Fiume Morello, culla di cefali e anguille, che garantiscono un pescato biologico. In un ventaglio di paesaggi culturali e naturali incontaminati si spalanca un prezioso forziere di biodiversità occultato in un lembo di territorio vocato alla pastorizia e all’agricoltura, praticata nelle masserie fortificate adibite a centro di produzione e trasformazione dei prodotti come l’olio biologico e i rinomati pomodori regina, coltivati in asciutta, e, una volta raccolti a luglio, destinati ad essere appesi per i peduncoli ad un filo di cotone o di canapa per essere consumati in inverno.
Al di là della miriade di specie vegetali (tra cui orchidacee spontanee, garighe di euphorbia spinosa, ginepri, macchia mediterranea, asfodelo ramoso, sclerofille sempre verdi) e animali (tra cui cinque specie di rettili di interesse prioritario e ventiquattro specie di uccelli di interesse comunitario) il Parco è intervallato da corridoi di accesso ad un mare trasparente lambito da calette, da lame scaturite da torrenti fossili, e da corsi d’acqua veri e propri come il Fiume Grande, circondato da un folto canneto in cui trova rifugio l’avivauna acquatica migratoria, il Fiume Piccolo e il Fiume Morello, culla di cefali e anguille, che garantiscono un pescato biologico. In un ventaglio di paesaggi culturali e naturali incontaminati si spalanca un prezioso forziere di biodiversità occultato in un lembo di territorio vocato alla pastorizia e all’agricoltura, praticata nelle masserie fortificate adibite a centro di produzione e trasformazione dei prodotti come l’olio biologico e i rinomati pomodori regina, coltivati in asciutta, e, una volta raccolti a luglio, destinati ad essere appesi per i peduncoli ad un filo di cotone o di canapa per essere consumati in inverno.
Scendendo lungo il litorale Adriatico in prossimità di Frigole si incontra lo stagno di Acquatina recintato da
cespugli di macchia mediterranea e dal cordone dunale, che lo separano dal mare.
Qui è attivo un Centro di Ricerche per la pesca e l’acquacoltura e un impianto
pilota per l’allevamento del pesce. A renderlo funzionale come un laboratorio a
cielo aperto gli scienziati del DiSteBa dell’Università del Salento, che studiano
l’ecologia degli ecosistemi acquatici di transizione. Lungo le sponde del
bacino fanno capolino: l’astro marino, la salicornia glauca, la spertinia delle
dune, la cannuccia di palude, la porcellana di mare. A un tiro di schioppo si
estende il Parco Regionale di Rauccio con la sua palude eletta a sito di
nidificazione e sosta dell’avifauna migratoria.
In una depressione lungo la costa adriatica è
riflesso sotto i raggi del sole il complesso lacustre degli Alimini costituito da due bacini, uno
d’acqua dolce, il lago Alimini Piccolo o Fontanelle e uno più grande salmastro
detto Alimini Grande, segnalati dalle fonti antiche come stagni di mare. Questo sito di
interesse comunitario per la sua straordinaria biodiversità è caratterizzato da sponde
rocciose frastagliate a causa del movimento ondoso e dai canali di collegamento
con il mare regolati da una paratoia in ferro, che consentono di regolare il flusso dei pesci. Nei secoli passati, quando gli acquitrini si
prosciugavano, era alto il rischio di contrarre la malaria. Questa malattia endemica venne debellata nel 1936
con la bonifica generale del territorio costellato in età medievale da casali e
monasteri.
La storia
dei bacini lacustri (non collegati ancora nel Quaternario), sulla base delle
testimonianze archeologiche, si dirama sin dal Paleolitico. Sulla base di
documenti di età sveva si evince l’affidamento del bene demaniale alla Mensa
Arcivescovile di Otranto.
L’invasione turca decretò l’abbandono del territorio acuito da contese giuridiche in merito alla proprietà, che trovarono una
soluzione nel 1886 con la soppressione della feudalità. Il cosiddetto laco piscatorio tra Seicento e Settecento ricadeva sotto la
giurisdizione di famiglie nobili, che traevano profitto con dazi e gabelle imposti
non solo sulla pesca, ma anche sul taglio del giunco.
Come un diamante incastonato tra
terra e mare rifulge in tutto il suo splendore il Parco Naturale Regionale Costa Otranto-Santa Maria di Leuca e Bosco di
Tricase, il più vasto tra i parchi del Salento, che abbraccia ben dodici
comuni della provincia di Lecce. Gestito da un Consorzio, che ha eletto come
sede operativa un’ala del castello di Andrano, presenta un paesaggio connotato
da prati aridi e falesie, che degradano sul mare, ricamando un litorale
tempestato di grotte emerse, sommerse e semisommerse convertite in santuari
della natura e in dimore per colonie di chirotteri.
Tra i cosiddetti lavaturi, rievocanti i terrazzamenti dei giardini pensili di
Babilonia, e i tratturi del sale, fiancheggiati da muretti a secco, lo sguardo
si perde tra l’archeologia del paesaggio animata da torri di guardia, pajare, masserie fortificate e dimore
gentilizie a picco sul mare. Ricco e variegato l’habitat floristico e faunistico rasentato in volo da rapaci, quali
la poiana, il gheppio e il falco pellegrino.
Un polmone verde è rappresentato
dal boschetto di Tricase, unico del genere presente su tutto il territorio
nazionale, popolato da magnifici esemplari di quercia vallonea, tra cui quello
dei cento cavalieri che affonda le radici tra storia e leggenda.
Sul versante jonico, tra Torre
San Giovanni e Lido Marini, si propaga a macchia d’olio il Parco Naturale Regionale Litorale di Ugento, dove tra i depositi
terrazzati delle serre, il cordone dunale e retrodunale, i bacini e canali di
collegamento per agevolare il deflusso delle acque stagnanti verso il mare, e
la scogliera fossile con gravine, si respira la storia racchiusa in monumenti
megalitici ormai scomparsi e mura messapiche ciclopiche ancora in piedi. A
dominare la scena il paesaggio palustre che rievoca il terribile incubo delle
febbri malariche, del tifo e della tubercolosi. Dopo una lunga serie di
interventi di risanamento vennero recuperati i Bacini di Ugento classificati
come Sito di Importanza Comunitaria per la loro biodiversità, che varia dai
gigli di mare alle piante della macchia mediterranea, dagli ulivi ai pini di
una immensa pineta.
Nel mosaico di paesaggi, immersi fuori dal tempo, è
incastonato anche il Parco Regionale di
Porto Selvaggio e Palude del Capitano intervallato, lungo un’insenatura frastagliata
a strapiombo su un mare cristallino, da alberi di pino di Aleppo, lecci, mirti,
ulivi, lentisco e rosmarino, che avvolgono con le loro essenze tre siti di
interesse comunitario (Torre Uluzzo, Torre Inserraglio, Palude del Capitano)
preziosi sia dal punto di vista storico, artistico, archeologico, paleontologico,
paesaggistico sia ambientale per le numerose specie di animali acquatici e le
rarissime specie vegetali ospitate. Tra giunchi neri, asfodeli e orchidee
selvagge, che fanno capolino tra la brasca delle lagune e sconfinate distese di
macchia mediterranea, nella doline della Palude del Capitano borbottano le spunnulate. Si tratta di un fenomeno di
origine carsica legato al cedimento strutturale della volta di cavità
sotterranee in cui confluiscono acqua marina e acque meteoriche di falde
superficiali, generando uno spettacolo da brivido. In questa valle dell’Eden
rimane preservata in un cantuccio l’esotica spiaggia del Frascone, dove sono
stati riportati alla luce i resti di un villaggio di pescatori riferibile alla
seconda metà del III sec. d.C. tra i più significativi di tutto l’arco ionico.
Si tratta di un fenomeno di origine carsica legato
al cedimento strutturale della volta di cavità sotterranee in cui confluiscono
acqua marina e acque meteoriche di falde superficiali, generando uno spettacolo
da brivido. In questa valle dell’Eden rimane preservata in un cantuccio l’esotica
spiaggia del Frascone, dove sono stati riportati alla luce i resti di un
villaggio di pescatori riferibile alla seconda metà del III sec. d.C. tra i più
significativi di tutto l’arco ionico.
Il gorgoglio delle spunnulate rimbomba anche nel cuore
della Riserva Naturale Palude del Conte
e Duna Costiera-Porto Cesareo in prossimità delle vestigia di Torre
Castiglione, dove, alloggia uno tra gli habitat prioritari, a rischio
estinzione, da tutelare. All’interno di questo contesto ricade l’area marina
protetta di Porto Cesareo, delimitata a settentrione da Punta Prosciutto e a
meridione da Torre dell’Inserraglio. A fare da contro altare ad un mare da
favola, disseminato di reperti archeologici, la boscaglia dell’Arneo talmente fitta in alcuni punti da non far filtrare i raggi del sole.
Dopo aver voltato le spalle a Torre Colimena,
risalendo il litorale di Manduria, ci si tuffa nella Riserva Naturale Regionale Orientata del Litorale Tarantino Orientale,
che comprende la Salina
dei Monaci, la foce del fiume Chidro e i boschi di Rosamarina e Cuturi. Sterminati comparti
della zona umida retrodunale, compresa nel territorio dei comuni di Avetrana, Manduria e Porto Cesareo, ospitano praterie salate a giunco nero
oltre al limonio comune e al limonio virgato, mentre sull’altro versante spopola
la macchia mediterranea insieme a ginestre e ad arbusti di mirto e lentisco. Lungo
i canali si piegano al vento le canne palustri, i giunchi e numerose altre specie,
come l’orchidea di palude e l’orchidea acquatica. La perla della riserva è
rappresentata dalla Salina dei Monaci o
Vecchia, amministrata dai Benedettini di San Lorenzo d’Aversa, che, nel 1754, ne rientrarono in possesso.
Nella
depressione, incorniciata tra dune, dove, attraverso un canale tagliato nella
scogliera, si riversava l’acqua marina, sino al 1872 veniva estratto il sale,
così come testimoniato dalla presenza di un deposito voltato a botte edificato
sulla sponda settentrionale accanto alla cappella dedicata alla Beata Vergine
del Monte Carmelo ridotta ormai ad un rudere. Raro esempio di paesaggio
originario la riserva, inclusa nei SIC della
“Rete Natura 2000”
per il variegato mosaico di ecosistemi, apre le braccia a specie aviarie protette tra cui: aironi cenerini,
fenicotteri, germani reali, gallinelle d’acqua e fischioni.
A chiudere il cerchio dei bacini lagunari di
tutto il Salento il Mar Piccolo, che,
insieme al Mar Grande, lambiscono Taranto,
non a caso definita, sin dalla fondazione spartana, come la città dei due mari.
Si tratta di un bacino chiuso, irrorato da una miriade di sorgenti sottomarine
di acqua dolce, i cosiddetti citri, dislocati sia nel primo che nel secondo
seno, ed entrambi coinvolti nelle attività di mitilicoltura. La salinità delle acque non è
influenzata solo dalla presenza di sorgenti sottomarine, ma anche dal lento
fluire di fiumi carsici e dal volgere delle correnti.
A forgiare il volto del Salento oltre al sole e al
sale rimane fondamentale il soffio del vento, che, come uno scultore, cesella il
paesaggio, plasmando boscaglie sulla terra e levigando dune sul mare, in una
quinta scenografica traboccante di paradisi naturali. Per ammirarli basta affacciarsi da queste finestre, che si spalancano su un mondo perduto.
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