giovedì 11 febbraio 2016

Nel solco della comunicazione della misericordia



Lecce teneramente sonnecchia, mentre le campane rintoccano a festa per celebrare il giorno del Signore. Sulla scia di un antico rituale la “città chiesa” si sveglia e spalanca le porte, facendo rifulgere sotto i raggi del sole preziose gemme racchiuse nel cuore di pietra barocco. Nella quinta scenografica di piazza Duomo, nell’ultima domenica di gennaio, in occasione dell’Anno Santo, va in scena il Giubileo dei giornalisti e degli operatori dei media chiamati ad essere missionari della misericordia.


Sotto l’egida di S. Francesco di Sales, patrono degli operatori della comunicazione sociale, le lancette dell’orologio dell’episcopio scoccano il tempo destinato a definire l’identità e il compito dei comunicatori. 




All’ombra del maestoso campanile, in quello che fu l’antico seminario, dopo i saluti e l’accoglienza da parte dell’arcivescovo metropolita mons. Domenico D’Ambrosio e di don Adolfo Putignano, direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi di Lecce, inizia a dipanarsi il dialogo tra i giornalisti e gli operatori della comunicazione sociale.  
La Curia di Lecce, coglie l’occasione per illustrare le opere segno rivolte al mondo del carcere; a costituire un fondo per le famiglie sfrattate e finite sulla strada; a implementare il progetto Gerico riservato all’accoglienza degli immigrati malati, in sinergia con l’evento, fortemente voluto, nel solco della misericordia, da papa Francesco.

In questo giubileo straordinario la misericordia viene presentata come urgenza dei tempi, la prima medicina di una chiesa definita ospedale da campo, nonché come ispiratrice delle forme di comunicazione. Il compito di estrinsecare l’essenza e la portata di tale fenomeno, che incide profondamente sull’azione pastorale della Chiesa, è affidato al dr Angelo Scelzo, attuale vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede, invitato ad affrontare il tema “Giubileo della Misericordia e ruolo della Comunicazione”. Il suo intervento entra nel vivo della narrazione ricca di ricorrenti citazioni tratte da documenti rimasti a suggello della storia della Chiesa. Citando papa Francesco Angelo Scelzo esordisce: <<L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia>> così come emerge prepotentemente dalla Bolla di indizione del Giubileo Misericordiae vultus, che, sin dalle prime battute, sollecita ad “essere segno e strumento della misericordia del Padre”. 


Francesco papa e uomo della misericordia, attraverso scelte coraggiose, cerca e trova un punto di convergenza tra un giubileo straordinario e la comunicazione di un messaggio di rinnovamento conforme al tempo della misericordia. Dall’humus di una ricerca incessante traggono linfa vitale le sue parole avvinte come foglie all’albero della fede, che recitano: “la credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole”. Il pontefice, venuto dall’altra parte del mondo, rimarca: “ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia… per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio”. Secondo Scelzo ruota proprio intorno a questo cardine il pontificato di papa Bergoglio incline a gettare un ponte con il Concilio Vaticano II nella ricorrenza del suo 50°anniversario. In quel frangente “i Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile… Era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. La Chiesa sentiva la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre”. In seno a quella sacra assise si annidava l’embrione della teologia della comunicazione, esaltata dalle parole di S. Giovanni XXIII, propenso a “usare la medicina della misericordia, invece, di imbracciare le armi del rigore”. A ritornare sull’argomento, qualche anno più tardi, il suo successore Paolo VI con il decreto “Inter Mirifica” promulgato per descrivere i diritti e i doveri degli strumenti di comunicazione sociale (stampa, radio, tv e simili) in grado di “arricchire lo spirito, nonché a diffondere il regno di Dio”.

La Chiesa, sfibrata dalle guerre di religione, dalle dispute teologiche contro le eresie; dalle incomprensioni insanabili, derivanti dalla spinosa questione romana, nel tentativo di salvare qualche brandello di potere temporale, ma, soprattutto, stanca di arroccarsi in una torre d’avorio, dischiudeva le porte al dialogo attraverso il messaggio della misericordia. Tramontava il ricorso alla drastica intransigenza, adottata nei secoli passati per condannare o scomunicare, e cadevano le ultime palizzate sulle quali era stato fomentato l’incitamento al conflitto in nome dell’intolleranza. Sul fronte diplomatico, d’altronde, finché soffiavano venti di guerra, occorreva dare un esempio concreto per far maturare il disgelo tra il blocco atlantico e quello sovietico. Il Concilio non mirava a condannare dottrine e uomini, così come era avvenuto nei sinodi precedenti, convocati per perseguire gli errori della fede, ma a voltare pagina in piena aderenza all’insegnamento di Gesù, identificato come il Buon Pastore. Cadevano i muri dell’oscurantismo e dell’estremismo radicale. La luce della verità poteva anzi doveva essere presentata in modo accessibile a tutti gli uomini al fine di veicolare l’annuncio universale di salvezza. 

Il mutamento, figlio dei tempi, era veicolato da un messaggio, che sottintendeva al dialogo e a instaurare un nuovo rapporto con la misericordia, che non è soltanto un elemento pastorale, ma anche costitutivo per la Chiesa. Non a caso, oggi, la misericordia è l’architrave del pontificato di Francesco, sostanza dottrinale del suo ministero, maturata autonomamente nel contesto gesuita, ma contestualmente sintonizzata sulla stessa frequenza d’onda dei pontefici suoi predecessori. Il pensiero vola all’allocuzione “Gaudet Mater Ecclesia”, pronunciata da papa Giovanni XXIII in apertura del sacro Concilio, e alle encicliche “Dives in misericordia” di S. Giovanni Paolo II e “Deus caritas est” di Benedetto XVI.

In prospettiva di riconciliazione il Concilio Vaticano II si configurava come porta santa verso un modo insolito di essere Chiesa “santa, forte e autentica”. Naturalmente bisognava rinnovare il linguaggio e i toni della comunicazione, rompendo gli schemi con il passato e facendo cadere reticenze e pregiudizi reciproci oltre a instaurare un clima nuovo, lasciandosi alle spalle il rapporto tormentato e la diffidenza serpeggiante tra gli uomini di chiesa e quelli gravitanti nell’orbita della cinematografia e della televisione. Troppo a lungo la Curia Romana era rimasta sulla difensiva allo scopo di contrastare gli effetti negativi di quel rapporto per nulla idilliaco, a volte trincerandosi in un assordante silenzio, a volte dichiarandosi addolorata per i danni che il cattivo uso della comunicazione avesse provocato all’umanità. Nel 1964 nell’enciclica “Ecclesiam Suam” il pontefice Paolo VI, impegnato a delineare il mandato della Chiesa, tornava ad esortare al dialogo, sottolineando: “la Chiesa si fa parola, si fa messaggio, si fa conversione. Ancor prima di convertire il mondo bisogna accostarlo e parlargli”.
Senza ombra di dubbio la teologia della comunicazione è la più rivoluzionaria eredità del Concilio Vaticano II. A parere del vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede, dai semi del processo conciliare sbocciarono i germogli dell’albero della comunicazione coinvolto da una vera e propria fioritura, che ha generato frutti generosi. La ristrutturazione dell’architettura dei media vaticani ha raggiunto l’acme sotto il pontificato di Benedetto XVI accompagnata dalle riforme apportate da papa Francesco. Il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, emanazione del Concilio, è stato assorbito dalla Segreteria per la Comunicazione, che ha competenze su enti e organismi vaticani impegnati in questo settore. L’apparato è stato tarato non solo per archiviare, ma anche per rendere accessibile l’enorme patrimonio documentale in linea con il processo di sorprendente apertura da parte della Chiesa in funzione del dialogo analogamente col mondo laico e non credente. A ratifica di questa disponibilità papa Francesco, subito dopo l’elezione al soglio pontificio, ha rilasciato la sua prima intervista a Eugenio Scalfari, giornalista dichiaratamente ateo, a dimostrazione del fatto che il vero dialogo non consiste nel parlare soltanto con persone che condividono il nostro stesso pensiero o la nostra stessa fede. Seppur con tante variabili, i tempi sono ormai maturi per un incontro-confronto con la chiesa ortodossa e per farsi prossimo con l’umanità ferita e lacerata nel corpo e nello spirito. Non a caso il Giubileo sancisce un’ulteriore forma di riconciliazione tra la Chiesa e il mondo attraverso il varco della porta santa. In virtù della misericordia divina si va oltre alla miseria umana, così come ampiamente contemplato dalla sintesi agostiniana “miseria mia, misericordia tua”. 


Ecco perché i giornalisti della diocesi di Lecce, che hanno aderito all’iniziativa promossa dalla Curia Arcivescovile, hanno varcato in modo penitenziale la porta santa della cattedrale, elevata a chiesa di riconciliazione, destinata, nell’anno giubilare, a rimanere aperta come la casa del Padre. Oltrepassare la porta santa, tuttavia, non può essere ridotto ad un mero gesto devozionale, volto a guadagnare l’indulgenza plenaria, ma deve spronare ad un profondo cammino interiore di riscoperta della fede, affidandosi alla misericordia divina. Attraverso questo passaggio dalle tenebre alla luce l’uomo si proietta verso Dio, che è misericordia.



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