Lecce
teneramente sonnecchia, mentre le campane rintoccano a festa per celebrare il
giorno del Signore. Sulla scia di un antico rituale la “città chiesa” si
sveglia e spalanca le porte, facendo rifulgere sotto i raggi del sole preziose
gemme racchiuse nel cuore di pietra barocco. Nella quinta scenografica di
piazza Duomo, nell’ultima domenica di gennaio, in occasione dell’Anno Santo, va
in scena il Giubileo dei giornalisti e degli operatori dei media chiamati ad
essere missionari della misericordia.
Sotto
l’egida di S. Francesco di Sales, patrono degli operatori della comunicazione
sociale, le lancette dell’orologio dell’episcopio scoccano il tempo destinato a
definire l’identità e il compito dei comunicatori.
All’ombra del maestoso campanile, in quello che fu l’antico seminario, dopo i saluti e l’accoglienza da parte dell’arcivescovo metropolita mons. Domenico D’Ambrosio e di don Adolfo Putignano, direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi di Lecce, inizia a dipanarsi il dialogo tra i giornalisti e gli operatori della comunicazione sociale.
La Curia di Lecce, coglie l’occasione per
illustrare le opere segno rivolte al mondo del carcere; a costituire un fondo
per le famiglie sfrattate e finite sulla strada; a implementare il progetto Gerico riservato
all’accoglienza degli immigrati malati, in sinergia con l’evento, fortemente
voluto, nel solco della misericordia, da papa Francesco.
In
questo giubileo straordinario la misericordia viene presentata come urgenza dei
tempi, la prima medicina di una chiesa definita ospedale da campo, nonché come
ispiratrice delle forme di comunicazione. Il compito di estrinsecare l’essenza
e la portata di tale fenomeno, che incide profondamente sull’azione pastorale
della Chiesa, è affidato al dr Angelo Scelzo, attuale vicedirettore della Sala
Stampa della Santa Sede, invitato ad affrontare il tema “Giubileo della
Misericordia e ruolo della Comunicazione”. Il suo intervento entra nel vivo della
narrazione ricca di ricorrenti citazioni tratte da documenti rimasti a suggello
della storia della Chiesa. Citando
papa Francesco Angelo Scelzo esordisce: <<L’architrave che sorregge la vita della
Chiesa è la misericordia>> così come emerge prepotentemente dalla Bolla di
indizione del Giubileo Misericordiae vultus,
che, sin dalle prime battute, sollecita ad “essere segno e strumento della
misericordia del Padre”.
Francesco papa e uomo della misericordia, attraverso scelte coraggiose, cerca e trova un punto di convergenza tra un giubileo straordinario e la comunicazione di un messaggio di rinnovamento conforme al tempo della misericordia. Dall’humus di una ricerca incessante traggono linfa vitale le sue parole avvinte come foglie all’albero della fede, che recitano: “la credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole”. Il pontefice, venuto dall’altra parte del mondo, rimarca: “ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia… per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio”. Secondo Scelzo ruota proprio intorno a questo cardine il pontificato di papa Bergoglio incline a gettare un ponte con il Concilio Vaticano II nella ricorrenza del suo 50°anniversario. In quel frangente “i Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile… Era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. La Chiesa sentiva la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre”. In seno a quella sacra assise si annidava l’embrione della teologia della comunicazione, esaltata dalle parole di S. Giovanni XXIII, propenso a “usare la medicina della misericordia, invece, di imbracciare le armi del rigore”. A ritornare sull’argomento, qualche anno più tardi, il suo successore Paolo VI con il decreto “Inter Mirifica” promulgato per descrivere i diritti e i doveri degli strumenti di comunicazione sociale (stampa, radio, tv e simili) in grado di “arricchire lo spirito, nonché a diffondere il regno di Dio”.
Francesco papa e uomo della misericordia, attraverso scelte coraggiose, cerca e trova un punto di convergenza tra un giubileo straordinario e la comunicazione di un messaggio di rinnovamento conforme al tempo della misericordia. Dall’humus di una ricerca incessante traggono linfa vitale le sue parole avvinte come foglie all’albero della fede, che recitano: “la credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole”. Il pontefice, venuto dall’altra parte del mondo, rimarca: “ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia… per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio”. Secondo Scelzo ruota proprio intorno a questo cardine il pontificato di papa Bergoglio incline a gettare un ponte con il Concilio Vaticano II nella ricorrenza del suo 50°anniversario. In quel frangente “i Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile… Era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. La Chiesa sentiva la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre”. In seno a quella sacra assise si annidava l’embrione della teologia della comunicazione, esaltata dalle parole di S. Giovanni XXIII, propenso a “usare la medicina della misericordia, invece, di imbracciare le armi del rigore”. A ritornare sull’argomento, qualche anno più tardi, il suo successore Paolo VI con il decreto “Inter Mirifica” promulgato per descrivere i diritti e i doveri degli strumenti di comunicazione sociale (stampa, radio, tv e simili) in grado di “arricchire lo spirito, nonché a diffondere il regno di Dio”.
La
Chiesa, sfibrata dalle guerre di religione, dalle dispute teologiche contro le
eresie; dalle incomprensioni insanabili, derivanti dalla spinosa questione
romana, nel tentativo di salvare qualche brandello di potere temporale, ma,
soprattutto, stanca di arroccarsi in una torre d’avorio, dischiudeva le porte al
dialogo attraverso il messaggio della misericordia. Tramontava il ricorso alla drastica
intransigenza, adottata nei secoli passati per condannare o scomunicare, e
cadevano le ultime palizzate sulle quali era stato fomentato l’incitamento al
conflitto in nome dell’intolleranza. Sul fronte diplomatico, d’altronde, finché
soffiavano venti di guerra, occorreva dare un esempio concreto per far maturare
il disgelo tra il blocco atlantico e quello sovietico. Il Concilio non mirava a
condannare dottrine e uomini, così come era avvenuto nei sinodi precedenti,
convocati per perseguire gli errori della fede, ma a voltare pagina in piena
aderenza all’insegnamento di Gesù, identificato come il Buon Pastore. Cadevano
i muri dell’oscurantismo e dell’estremismo radicale. La luce della verità poteva
anzi doveva essere presentata in modo accessibile a tutti gli uomini al fine di
veicolare l’annuncio universale di salvezza.
Il
mutamento, figlio dei tempi, era veicolato da un messaggio, che sottintendeva
al dialogo e a instaurare un nuovo rapporto con la misericordia, che non è
soltanto un elemento pastorale, ma anche costitutivo per la Chiesa. Non a caso,
oggi, la misericordia è l’architrave del pontificato di Francesco, sostanza
dottrinale del suo ministero, maturata autonomamente nel contesto gesuita, ma
contestualmente sintonizzata sulla stessa frequenza d’onda dei pontefici suoi
predecessori. Il pensiero vola all’allocuzione “Gaudet Mater Ecclesia”, pronunciata da papa Giovanni XXIII in apertura del sacro Concilio, e alle
encicliche “Dives in misericordia” di S. Giovanni Paolo II e “Deus caritas est”
di Benedetto XVI.
In
prospettiva di riconciliazione il Concilio Vaticano II si configurava come
porta santa verso un modo insolito di essere Chiesa “santa, forte e autentica”.
Naturalmente bisognava rinnovare il linguaggio e i toni della comunicazione,
rompendo gli schemi con il passato e facendo cadere reticenze e pregiudizi
reciproci oltre a instaurare un clima nuovo, lasciandosi alle spalle il
rapporto tormentato e la diffidenza serpeggiante tra gli uomini di chiesa e quelli
gravitanti nell’orbita della cinematografia e della televisione. Troppo a lungo
la Curia Romana era rimasta sulla difensiva allo scopo di contrastare gli effetti
negativi di quel rapporto per nulla idilliaco, a volte trincerandosi in un
assordante silenzio, a volte dichiarandosi addolorata per i danni che il
cattivo uso della comunicazione avesse provocato all’umanità. Nel 1964
nell’enciclica “Ecclesiam Suam” il pontefice Paolo VI, impegnato a delineare il
mandato della Chiesa, tornava ad esortare al dialogo, sottolineando: “la Chiesa
si fa parola, si fa messaggio, si fa conversione. Ancor prima di convertire il
mondo bisogna accostarlo e parlargli”.
Senza
ombra di dubbio la teologia della comunicazione è la più rivoluzionaria eredità
del Concilio Vaticano II. A parere del vicedirettore della Sala Stampa della
Santa Sede, dai semi del processo conciliare sbocciarono i germogli dell’albero
della comunicazione coinvolto da una vera e propria fioritura, che ha generato
frutti generosi. La ristrutturazione dell’architettura dei media vaticani ha
raggiunto l’acme sotto il pontificato di Benedetto XVI accompagnata dalle
riforme apportate da papa Francesco. Il Pontificio Consiglio per le
Comunicazioni Sociali, emanazione del Concilio, è stato assorbito dalla
Segreteria per la Comunicazione, che ha competenze su enti e organismi vaticani
impegnati in questo settore. L’apparato è stato tarato non solo per archiviare,
ma anche per rendere accessibile l’enorme patrimonio documentale in linea con
il processo di sorprendente apertura da parte della Chiesa in funzione del
dialogo analogamente col mondo laico e non credente. A ratifica di questa
disponibilità papa Francesco, subito dopo l’elezione al soglio pontificio, ha
rilasciato la sua prima intervista a Eugenio Scalfari, giornalista
dichiaratamente ateo, a dimostrazione del fatto che il vero dialogo non
consiste nel parlare soltanto con persone che condividono il nostro stesso
pensiero o la nostra stessa fede. Seppur con tante variabili, i tempi sono ormai
maturi per un incontro-confronto con la chiesa ortodossa e per farsi prossimo con
l’umanità ferita e lacerata nel corpo e nello spirito. Non
a caso il Giubileo sancisce un’ulteriore forma di riconciliazione tra la Chiesa
e il mondo attraverso il varco della porta santa. In virtù della misericordia
divina si va oltre alla miseria umana, così come ampiamente contemplato dalla
sintesi agostiniana “miseria mia, misericordia tua”.
Ecco perché i giornalisti della diocesi di Lecce, che hanno aderito all’iniziativa promossa dalla Curia Arcivescovile, hanno varcato in modo penitenziale la porta santa della cattedrale, elevata a chiesa di riconciliazione, destinata, nell’anno giubilare, a rimanere aperta come la casa del Padre. Oltrepassare la porta santa, tuttavia, non può essere ridotto ad un mero gesto devozionale, volto a guadagnare l’indulgenza plenaria, ma deve spronare ad un profondo cammino interiore di riscoperta della fede, affidandosi alla misericordia divina. Attraverso questo passaggio dalle tenebre alla luce l’uomo si proietta verso Dio, che è misericordia.
© Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell’editrice del blog.